Quando ho iniziato a scrivere Alberi di plastica ho deciso da subito di associare un determinato gruppo musicale ad ognuno dei personaggi principali. A Matteo, uno dei protagonisti, ho assegnato i Green Day perché avevo bisogno di raccontare l’adolescenza, la voglia di ribellione, quella sensazione di incomprensione che si tramuta in rabbia sorda, e che poi alla fine esplode. Tutte fasi che ho attraversato anche io, e che per questo ho sentito il bisogno di mettere nero su bianco. Anche attraverso quelle note che ricordo così bene.

Ritengo che i Green Day siano stati importanti nel mio percorso di crescita personale per diversi motivi: credo che mi abbiano reso una persona migliore, che mi abbiano aiutato parecchio in momenti difficili. Per me, e nel romanzo anche per Matteo, i Green Day rappresentano soprattutto un album tratto da un concerto: Bullet in a Bible. Io lo avevo e lo ho ancora: cofanetto con cd + dvd del concerto, tenutosi a giugno del 2005 a Milton Keynes. L’avrò visto non so quante volte, quel concerto, e ancora oggi quando lo ascolto mi trasmette un’energia pazzesca.

Dicevo, i Green Day per me sono stati importanti, importantissimi. Ho provato a spiegarmi perché, cercando di capire come, precisamente, la band inglese composta da Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tré Cool mi abbia reso una persona migliore. Ecco cosa ho capito.

#1 Mi hanno dato una piccola indentità

Che alla fine, in fondo, è tutto quello che un adolescente cerca. I Green Day stati il primo gruppo del quale mi sono innamorato, ci sono entrato subito in sintonia: a quattordici anni come tutti cercavo di capire chi fossi, che film mi piacessero, quali fossero i miei gusti musicali, quale fosse il mio pensiero critico rispetto al mondo. Avrei scoperto tutto con calma, e ancora lo sto facendo: non si smette mai di conoscersi. Di sicuro, però, grazie ai Green Day avevo capito che mi piaceva da morire quello stile, quella musica, quei riff impazziti, quelle voci che gridavano e il ritmo forsennato e strafottente del punk rock. Grazie ai Green Day avevo finalmente una mia piccola identità, potevo dire: questo è quello che mi piace, e porca puttana voglio ascoltarlo tutto il giorno a tutto volume.

#2 Mi hanno reso riconoscibile anche all’esterno

Oltre ad avermi reso riconoscibile all’interno, i Green Day hanno avuto anche il merito di rendermi riconoscibile per gli altri. Ricordo ancora con affetto una maglietta dei Green Day acquistata a Londra, in un negozio di musica: ne andavo molto orgoglioso e l’ho indossata spesso, fino a qualche anno fa era ancora nei miei cassetti, se mi impegno sono convinto che riesco a ritrovarla. Oltre a quella, che indossavo occasionalmente, vivevo i Green Day in tanti modi diversi: canticchiavo canzoni, facevo ghirigori sul diario, li citavo, li consigliavo agli altri dicendo di ascoltarli perché spacccavano. Così mi distinguevo, mi affermavo, forse mi davo anche un tono. Li condividevo sui primi social, diffondevo il loro verbo come potevo. insomma, non portavo la cresta punk e non indossavo catene, ma di sicuro ero un fan dei Green Day e si capiva.

#3 Mi hanno costretto a imparare l’inglese

Non potevo solo ascoltare le canzoni senza capirne il significato, quindi mi mettevo lì e leggevo i testi per cantarli: così imparavo le parole in inglese, le espressioni, i modi di dire. Ascoltare i Green Day mi ha spinto ad imparare meglio una lingua che non era la mia, e che studiavo anche dopo aver finito i compiti di inglese perché oh, ero un fan dei Green Day e volevo, anzi dovevo capire quello che mi stavano dicendo. Una parola dopo l’altra, sono entrato ancora più in confidenza con questo gruppo e di conseguenza anche con la lingua inglese. So, thanks.

#4 Mi hanno capito

Un adolescente non cerca solamente un’identità, ma anche comprensione in un momento della vita in cui nessuno ti capisce davvero, perché alla fine non ti capisci manco tu. Banalmente, i Green Day mi capivano: non li conoscevo ma era come se fossero miei amici, e come tutti mi ritrovavo nelle canzoni. E così quando ero triste camminavo su una Boulevard of Broken Dreams, altre volte invece mi trovavo a discutere solo contro tutti ed ero quindi una meravigliosa Minority, altre ancora mi sentivo King for a day, neanche fossi in Holiday. Imparando l’inglese capivo i testi, mi immedesimavo, mi ritrovavo tra le righe delle canzoni. Sentivo il tempo che mi afferrava per il polso e mi portava avanti, mentre vivevo i bei momenti della mia vita e ascoltavo i Green Day.

#5 Mi hanno fomentato, e lo fanno ancora oggi

Molto banalmente, i Green Day mi fomentavano, mi caricavano. Avevo bisogno dei Green Day, erano una droga, una necessità. Elettricità per i circuiti, benzina sul fuoco che divampa quando hai quattordici anni e vuoi spaccare tutto. Ancora oggi, quando ho bisogno di un po’ di carica, ho pochi dubbi: Bullet in a Bible, play. E torno nella mia cameretta, coi poster attaccati con lo scotch, col mondo fuori che non mi capisce, col futuro che è un mistero, con gli amici che chissà se sono veri amici, con le ragazze che sono un universo strano, con un nubifragio di pensieri pronti a cadere sulla mia testa, che stringo tra le mani, pronto per urlare di nuovo contro tutto e tutti.

Sempre con la stessa colonna sonora in sottofondo.

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(Foto di copertina di William White, su Unsplash)