Non c’è niente di sbagliato, non c’è niente che non sia al suo posto: la sensazione di perfezione che mi ha lasciato il finale di Lost è una cosa nuova e in parte anche inaspettata. Ho sentito di persone rimaste deluse e scottate da un finale che non è piaciuto, e si sa: un epilogo sbagliato getta un’ombra fastidiosa anche sulla serie più bella, e per Lost per fortuna non è stato così, almeno secondo me. La luce non è mai mancata, neanche nel finale.

La serie perfetta

Fatico a trovare difetti, forse non ce ne sono: Lost è LA serie, un esercizio di bravura lungo sei stagioni che non annoia, non stanca, coinvolge ed emoziona in mille modi diversi. Il ribaltamento del tavolo è costante ma mai superfluo, arriva sempre al momento giusto; le storie dei personaggi sono scandagliate in un modo che non mi è mai capitato di vedere prima: la serie andrebbe fatta vedere a chiunque voglia scrivere una serie, o a chiunque scriva in generale, perché è così che si tratta un personaggio. Lost li rispetta e gli dà una tridimensionalità incredibile, alla quale si aggiunge un’evoluzione costante e mai banale.

Il tema del mistero è ovviamente quello che ti tiene incollato allo schermo, almeno all’inizio: che è successo, perché è successo, quando è successo, come è successo. Queste domande te le porti dietro per buona parte della serie e sostanzialmente i nodi si sciolgono davvero tutte sono nel finale, dove il cerchio si chiude con precisione e maestria. Tutto torna, anche se non è facile da digerire e neanche da interpretare: se avete finito la serie e come me volevate capirci qualcosa di più, o comunque vederci più chiaro, vi consiglio questo articolo che Francesco Costa del Post scrisse ormai più di dieci anni fa.

Stagione dopo stagione, la precisione

La tensione non si abbassa mai, e questo è uno dei più grandi punti di forza di Lost: il motore immobile è sempre acceso e romba e si alimenta di ogni finale di ogni singolo episodio, che è benzina in un serbatoio mai scarico. L’auto di Lost si rimette in moto appena comincia una nuova puntata, e arriva precisamente dove doveva arrivare. Precisione: questa parola l’ho già usata in precedenza ed è inevitabile, se si parla di Lost, perché è questo il senso che trasmette. Mascherato da caos e da intrighi, coperto da mille sotto trame, il filo rosso c’è sempre, anche se non si vede. Alla fine tutto diventa chiaro. Un equilibrio totale, un puzzle immenso del quale riesci a cogliere tutto il senso solamente quando anche l’ultimo tassello è stato messo al suo posto. Stagione dopo stagione, episodio dopo episodio.

Domande irrisolte, ma non è questo il bello?

Ho letto di questioni rimaste aperte (se ne parla ad esempio qui) ed è giusto sottolineare come qualcosa sia rimasta irrisolta, ma io dico: in una serie le cui fondamenta si basano sul mistero, è davvero necessario sapere tutto? Secondo me no: gli interrogativi lasciano spazio alla fantasia, alla possibilità di parlarne ancora, di andare sugli allora forum e di discutere, di capire, di interpretare. Perché sono sicuro che anche la seconda volta che guarderò Lost avrò voglia di parlarne, di informarmi e di capire meglio alcuni passaggi. Qui, tipo, trovate una “Lostpedia” con tante domande e tante possibili risposte.

Il cerchio si chiude

Alla fine Lost è questo: un cerchio gigantesco che parte da un punto preciso e si ricongiunge nello stesso punto sei stagioni dopo. Al suo interno, una moltitudine di storie, di rapporti, di tensioni, di morte ma anche di vita, di amicizie, di amori, di cose supernaturali, di fughe, di ritorni, di amore, di voglia di verità, di ricerca forsennata di un senso. Lost è una mappa dell’animo umano srotolata e messa in una serie di sei stagioni che tutti, ma proprio tutti dovrebbero vedere. Alla fine forse non troverete voi stessi, ma almeno scoprirete da dove arriva QUESTA gif: per me è stata una rivelazione.

Foto di copertina di Dominik Kiss, da Unsplash