Senza alcun preavviso ho avuto questa sorta di illuminazione: l’epifania è arrivata dopo cena, forse ho mangiato troppo e sto già sognando male, ad occhi aperti. Vallo a sapere, queste cose non si capiscono mai.

Insomma, ho riflettuto ma neanche troppo, è stato un lampo, mi sono detto: i ricordi si dilatano. Anzi: il tempo dei ricordi si dilata. Una scena che ho in mente e che nella vita reale, anni fa, sarà durata al massimo cinque o dieci minuti, nella mia testa oggi è lunga, riflessiva, estesa e srotolata come una pergamena sul tavolo. Posso ripercorrere tutto nel dettaglio, o meglio: sono costretto a farlo. 

Avete presente quando analizzate i singoli frame di un video? Potete fermarvi su ogni fotogramma, indugiare sulle sfumature, anche se magari non si vedono benissimo. Nei ricordi invece è tutto molto dettagliato, anche se un po’ vuoto: si perdono i ricordi ma restano le scene, chiare ed evidenti. O almeno la versione della storia che ci siamo raccontati. 

(Questo ragionamento sembra non avere né capo né coda, e forse è così: sto cercando di spiegarvi un’intuizione, e vi assicuro che non c’è niente di più difficile. Cerco comunque di farlo: apprezzate).

Insomma, mi sono fissato su una scena a caso del mio passato – una scena che ho vissuto più volte, forse migliaia – e l’ho rivista nella mia testa: era lentissima. C’era molta calma e c’era il sole, era tutto molto illuminato. È stato un lampo lento, un paradosso immediato e fugace, che sono riuscito a cogliere per caso, solo perché ho indugiato. E allora ho analizzato altri ricordi sotto la stessa lente e me ne sono accorto: sono dilatatissimi, ricordo le singole scene e ognuna di esse ha dei contorni indefiniti e lunghissimi, ogni attimo dura un anno nei miei ricordi. Pause inspiegabili e momenti di vuoto riempiono giorni, ore, minuti e attimi per me importanti, e mi permettono di analizzarli meglio.

Insomma, i miei ricordi sono pieni di pause che li allungano e mi permettono di tenerli meglio a mente: il vuoto ha un suo peso che grava sul tempo e lo rende più grave, più concreto, più forte. E i ricordi forti sono i soli che resistono. 

Google Earth

Ecco, sì, l’esempio perfetto è questo, forse così riesco a condividere col mondo questa roba super personale: è come quando usate Google Earth, lo avete fatto tutti almeno una volta nella vita, no? 

In breve: se riesco ad individuare un ricordo con delle coordinate precise posso proiettarmi lì, in quel luogo e in quel tempo congelato per sempre come un’istantanea globale. Stile Google Earth, che di base ci consente di spostarci lungo le strade del mondo e di guardarci intorno con tutta la calma possibile, perché quell’attimo durerà per sempre. O almeno fino al prossimo aggiornamento.

Escluso un possibile aggiornamento dei miei ricordi (ma boh, la tecnologia sta facendo passi da gigante – in futuro mi immagino ricordi in Cloud) (forse ho visto troppi episodi di Black Mirror) la possibilità di tornare indietro resterà lì a portata di mente: basta solo sforzarsi, ricordare e proiettarsi in un luogo per vederlo congelato e immortalato. Ci si può guardare intorno e cogliere sfumature forse costruite dalla nostra mente, ma non per questo meno affascinanti: ricordiamo quello che ci pare, e in fondo va bene così, perché la memoria è la cosa più intima che abbiamo.

Insomma, i ricordi oggi mi appaiono lunghi e dilatati, quindi abbastanza sfumati e incerti, ma non per questo meno analizzabili: non possono tornami in mente volti di passanti e colori di auto in corsa, ma almeno certe scene fondamentali sono lì, ferme in una fotografia senza fine. E tutto questo è… consolante. 

Foto di PIRO4D da Pixabay